L’errore di Szczesny sul tiro di Donnarumma aveva subito azzerato il teorema Khedira (nessun gol con lui in campo) e costretto la Juventus a inventarsi una partita migliore delle maglie: quelle, orrende, di Firenze. Ci è riuscita. Non c’era Cristiano, c’era Balotelli, c’erano Rabiot e un 4-3-1-2 che offriva a Ramsey l’onore e l’onere di destreggiarsi dietro le punte, Higuain e Dybala, anche se persino il piccolo Sivori partiva spesso da dietro e, insomma, si avanzava «di» gioco corto (oggi, tiki taka), fino a quando un Cistana di passaggio non spazzava via.
Palla al piede, si colgono i ricami che la premiata sartoria Sarri cerca di inculcare, al prezzo di qualche tiro in meno e di qualche filtrante ritardato. Palla agli altri, il lavoro non manca: l’apprendistato di De Ligt continua fra troppi campanili.
Il Brescia di Corini ha badato al sodo, raccolta attorno alle geometrie giovani di Tonali, a un Romulo tuttocampista e a un Balotelli umile, e per questo utile. Sarri si è preso il possesso palla e non l’ha più mollato. E’ la seconda rimonta di Madama, più brillante di quella casalinga con l’Hellas. Se l’autorete di Chancellor è stato un colpetto di chiappa, il collo destro di Pjanic, tra i migliori, va archiviato alla voce «chicche balistiche». E non proprio uno sparo nel buio, se pensiamo alle occasioni di Ramsey, Higuain, Rabiot e Cuadrado, sguinzagliato al posto di Danilo, ennesimo flessore che saluta e se ne va.
Partita fisica ma leale, con un arbitro che è andato a spanne, con la giungla bresciana che confondeva i palleggiatori juventini, tutti tranne Dybala che «c’era Guevara» tiene più o meno nella posizione di Allegri e ha sostituito non senza un briciolo di legittimo fastidio. Al netto di un Rabiot che, alla prima da titolare, sembrava aver sbagliato aula, di un Pipita calante, di un Bonucci gladiatorio e di testi che non subito entrano in testa, piccole tracce crescono.